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Borsellino, sete di verità e giustizia è ancora forte e insopprimibile DI GIUSEPPE LUMIA ·

Il 19 luglio del 1992 è una domenica di una calda estate. Palermo è semi deserta. Paolo Borsellino si allontana dalla sua famiglia e si reca in visita dalla madre che ha bisogno di cure e dell’attenzione del figlio. Alle 16 e 58 minuti via D’Amelio viene squarciata da un boato, fiamme, polvere, cenere e palazzi lacerati. Caddero così il giudice e gli agenti di scorta della Polizia di Stato Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, che ha subito danni profondi nel corpo e nell’anima. Sono passati 25 anni da quel giorno, un quarto di secolo. Eppure la strage di Via D’Amelio è una ferita che rimane ancora oggi aperta. Dopo la strage terrificante di Capaci, la vita di Paolo Borsellino sembrava già segnata. Una sorta di “cronaca di una morte annunciata”. Borsellino andò incontro a quel triste epilogo con lucidità, consapevolezza e dignità. Anche negli ultimi giorni della sua vita non arretrò di un passo, continuò imperterrito il proprio lavoro con la personalità e l’autorevolezza di chi è profondamente consapevole del proprio destino. Naturalmente la sua vita cambiò tanto da lasciarne traccia nell’espressione del suo volto. Dai suoi occhi non appariva più la luce e la gioia di sempre che lo accompagnarono sempre durante il suo duro e rischiosissimo lavoro. Borsellino in quella tremenda estate andò avanti a testa alta, con la tipica fierezza siciliana di chi si immerge in un impegno nobile e al servizio dello Stato, di quello stesso Stato che invece si comportò in modo diametralmente opposto. Lo Stato, infatti, non lo protesse: davanti casa di sua madre non furono messi neanche dei semplici divieti di sosta, nonostante fosse risaputo che vi si recava spesso e che quella strada si poteva trasformare facilmente in una trappola mortale. Lo Stato lo espose oltremisura candidandolo a dirigere quella procura nazionale antimafia designata normativamente da Giovanni Falcone. Una procura che neanche dopo la morte dell’amico riusciva a prendere il via insieme a quel modello normativo del “doppio binario” costruito per i reati di mafia, in grado di colpire al cuore e alla mente il sistema mafioso. Le istituzioni fecero ancora peggio, alcuni suoi esponenti ingaggiarono una vera e propria trattativa con i vertici di Cosa nostra, che espose ulteriormente e mortalmente il giudice. Paolo Borsellino l’aveva capito e cercò con tutte le sue forze di combatterla e di bloccarla. La scomparsa dell’agenda rossa pochi minuti dopo il boato è l’emblema del successivo cammino deviato: depistaggi, inadempienze, mancata coralità nella ricerca della piena verità, testimoni istituzionali silenti fino a molti anni dopo, quando finalmente cominciarono ad emergere alcuni piccoli frammenti di verità. A 25 anni dalla strage ancora molte questioni sono aperte e molti ritagli di verità mancano all’appello, per ricostruire il mosaico delle collusioni e fare così piena luce su ciò che accadde veramente e sulle responsabilità penali, politiche ed istituzionali. Molti di questi tasselli sono contenuti in spezzoni processuali, altri in pubblicazioni ed inchieste giornalistiche. Alla ricerca della verità ho dato anch’io il mio umile contributo in diverse relazioni e con un incessante lavoro di scavo portato avanti in Commissione antimafia. Vi rimando alla nota che ho redatto pochi anni fa, http://www.giuseppelumia.it/2014/wp-content/uploads/2017/07/Stragi-Lumia-Pisanu.pdf
 una sorta di relazione di minoranza che presentai alla fine della scorsa legislatura dove feci una ricostruzione sistematica del periodo stragista ’92-’93. Ritengo sia una buona base di lavoro su cui continuare a sviluppare un impegno che non potrà mai fermarsi, perchè la sete di verità e giustizia è ancora forte e insopprimibile. Giuseppe Lumia

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