A PROCESSO L’IDEATORE DELL’ECOMAFIA IL DISINTERESSE È GENERALE. RENATO SCALIA | 28 LUG 2015 NAPOLI – E’ riuscito a riempire di denaro, come non mai, i forzieri del clan dei casalesi. Con la sua funesta intuizione ha devastato e avvelenato ampi territori, trasformandoli in terre dei fuochi. I suoi sporchi affari hanno falcidiato intere famiglie e segnato indelebilmente il destino del nostro Paese. Un disastro ambientale che ha seminato morte e continuerà a farlo sino alla fine del secolo. Tuttavia, solo in pochi conoscono le generalità del mostro che è considerato responsabile di questo flagello. Eppure in questi giorni, nella più totale indifferenza, si sta celebrando il processo proprio contro di lui, l’avvocato e imprenditore Cipriano Chianese, inventore dell’ecomafia. E’ stupefacente come un evento così rilevante sia stato completamente ottenebrato da intercettazioni fantasma e mobilitazioni di massa contro poveri migranti. Nell’aula della V Sezione della Corte di Assise del Tribunale di Napoli invece le assenze sono macroscopiche. Davanti ai giudici, però, ci sono loro, Cipriano Chianese e il suo braccio destro, Gaetano Cerci, parente del boss dei casalesi Francesco Bidognetti. Chianese e Cerci - così come riferito dai pentiti – hanno frequentato “circoli culturali” delle regioni del centro e del Nord del Paese, incontrando politici, apparati dello Stato, massoni e imprenditori. Con molti di questi hanno stipulato quel patto scellerato che ha provocato danni irreparabili sia in Italia sia in altri continenti. Nell’affare rifiuti le responsabilità non sono solo degli uomini della camorra. I veleni smaltiti dai casalesi sono stati prodotti da altri criminali. Quegli industriali decisi a tutto, pur di risparmiare. Gente consapevole e senza scrupoli, priva di sentimenti tanto da non provare un briciolo di rimorso di coscienza e pentimento. Poi, ci sono loro, i non pervenuti, quelli che scendono in piazza per scacciare quei poveri cristi che fuggono da guerre e povertà. E’ difficile, se non impossibile, trovarli a manifestare contro mafiosi, trafficanti e produttori dei veleni. Spesso e volentieri, quest’ultimi hanno sostenuto – alcuni probabilmente continuano a farlo – una classe politica che ha fatto finta di non vedere ciò che stava accadendo. Una delle prime segnalazioni risale addirittura al 30 luglio 1988. Gli iscritti del Partito Comunista Italiano di Casal di Principe (CE), sezione “Pio La Torre“, denunciarono l’utilizzo delle cave come discariche di materiali di risulta, di rifiuti urbani e di materiali di dubbia provenienza, chiusi in contenitori di plastica. Nell’occasione fu stilato un documento, indirizzato al sindaco di Casal di Principe, al presidente della Usl 19, al prefetto di Caserta, all’assessore alla Sanità di Napoli, al ministro dell’Ambiente e al comando dei Vigili Urbani di Casal di Principe. Gli allarmi giunsero anche dalla Marina degli Stati Uniti. Nel mese di novembre 2008, 40 nuclei familiari dei militari americani lasciarono le loro abitazioni di Casal di Principe (CE). L’esodo avvenne dopo l’esito delle analisi eseguite dal Centro di salute della US Navy. Le acque tra Castel Volturno, Caserta e Napoli, erano altamente inquinate. Insomma, dai rubinetti delle abitazioni dei militari usciva acqua con percentuali rilevanti di sostanze chimiche, soprattutto, solventi e nitrati. La marina statunitense non si limitò a far trasferire i militari ma consigliò anche a tutta la comunità americana residente in Campania, l’uso esclusivo di acqua minerale in bottiglia per bere e per usi domestici. Da buoni alleati e ospiti andarono anche oltre. Avvisarono infatti le competenti autorità italiane (quelle locali, il Ministero della Salute e dell’Ambiente, e il Ministero dell’Interno – Protezione Civile), ma nessuna di queste evidentemente prese in considerazione l’allerta. Per prendere realmente coscienza di ciò che era avvenuto abbiamo dovuto attendere il 2013, allorché venne desecretato il verbale della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite sui rifiuti, riguardante l’audizione del pentito Carmine Schiavone, morto nel febbraio scorso. Nel 1997 Schiavone, dopo aver spiegato ai membri della commissione come funzionavano i traffici dei rifiuti, intese sottolineare un aspetto non certo trascurabile: “Ma Chianese gestiva parecchie società. Anche se può uscire assolto, perché purtroppo in Italia succede tutto questo, succede che escono assolti…“. Nessuno dei politici presenti, però, colse al volo quel suggerimento. Eppure erano in molti.(http://www.camera.it/_bicamerali/compo/elrifiuti.htm)
A PROCESSO L’IDEATORE DELL’ECOMAFIA IL DISINTERESSE È GENERALE. RENATO SCALIA | 28 LUG 2015 NAPOLI – E’ riuscito a riempire di denaro, come non mai, i forzieri del clan dei casalesi. Con la sua funesta intuizione ha devastato e avvelenato ampi territori, trasformandoli in terre dei fuochi. I suoi sporchi affari hanno falcidiato intere famiglie e segnato indelebilmente il destino del nostro Paese. Un disastro ambientale che ha seminato morte e continuerà a farlo sino alla fine del secolo. Tuttavia, solo in pochi conoscono le generalità del mostro che è considerato responsabile di questo flagello. Eppure in questi giorni, nella più totale indifferenza, si sta celebrando il processo proprio contro di lui, l’avvocato e imprenditore Cipriano Chianese, inventore dell’ecomafia. E’ stupefacente come un evento così rilevante sia stato completamente ottenebrato da intercettazioni fantasma e mobilitazioni di massa contro poveri migranti. Nell’aula della V Sezione della Corte di Assise del Tribunale di Napoli invece le assenze sono macroscopiche. Davanti ai giudici, però, ci sono loro, Cipriano Chianese e il suo braccio destro, Gaetano Cerci, parente del boss dei casalesi Francesco Bidognetti. Chianese e Cerci - così come riferito dai pentiti – hanno frequentato “circoli culturali” delle regioni del centro e del Nord del Paese, incontrando politici, apparati dello Stato, massoni e imprenditori. Con molti di questi hanno stipulato quel patto scellerato che ha provocato danni irreparabili sia in Italia sia in altri continenti. Nell’affare rifiuti le responsabilità non sono solo degli uomini della camorra. I veleni smaltiti dai casalesi sono stati prodotti da altri criminali. Quegli industriali decisi a tutto, pur di risparmiare. Gente consapevole e senza scrupoli, priva di sentimenti tanto da non provare un briciolo di rimorso di coscienza e pentimento. Poi, ci sono loro, i non pervenuti, quelli che scendono in piazza per scacciare quei poveri cristi che fuggono da guerre e povertà. E’ difficile, se non impossibile, trovarli a manifestare contro mafiosi, trafficanti e produttori dei veleni. Spesso e volentieri, quest’ultimi hanno sostenuto – alcuni probabilmente continuano a farlo – una classe politica che ha fatto finta di non vedere ciò che stava accadendo. Una delle prime segnalazioni risale addirittura al 30 luglio 1988. Gli iscritti del Partito Comunista Italiano di Casal di Principe (CE), sezione “Pio La Torre“, denunciarono l’utilizzo delle cave come discariche di materiali di risulta, di rifiuti urbani e di materiali di dubbia provenienza, chiusi in contenitori di plastica. Nell’occasione fu stilato un documento, indirizzato al sindaco di Casal di Principe, al presidente della Usl 19, al prefetto di Caserta, all’assessore alla Sanità di Napoli, al ministro dell’Ambiente e al comando dei Vigili Urbani di Casal di Principe. Gli allarmi giunsero anche dalla Marina degli Stati Uniti. Nel mese di novembre 2008, 40 nuclei familiari dei militari americani lasciarono le loro abitazioni di Casal di Principe (CE). L’esodo avvenne dopo l’esito delle analisi eseguite dal Centro di salute della US Navy. Le acque tra Castel Volturno, Caserta e Napoli, erano altamente inquinate. Insomma, dai rubinetti delle abitazioni dei militari usciva acqua con percentuali rilevanti di sostanze chimiche, soprattutto, solventi e nitrati. La marina statunitense non si limitò a far trasferire i militari ma consigliò anche a tutta la comunità americana residente in Campania, l’uso esclusivo di acqua minerale in bottiglia per bere e per usi domestici. Da buoni alleati e ospiti andarono anche oltre. Avvisarono infatti le competenti autorità italiane (quelle locali, il Ministero della Salute e dell’Ambiente, e il Ministero dell’Interno – Protezione Civile), ma nessuna di queste evidentemente prese in considerazione l’allerta. Per prendere realmente coscienza di ciò che era avvenuto abbiamo dovuto attendere il 2013, allorché venne desecretato il verbale della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite sui rifiuti, riguardante l’audizione del pentito Carmine Schiavone, morto nel febbraio scorso. Nel 1997 Schiavone, dopo aver spiegato ai membri della commissione come funzionavano i traffici dei rifiuti, intese sottolineare un aspetto non certo trascurabile: “Ma Chianese gestiva parecchie società. Anche se può uscire assolto, perché purtroppo in Italia succede tutto questo, succede che escono assolti…“. Nessuno dei politici presenti, però, colse al volo quel suggerimento. Eppure erano in molti.(http://www.camera.it/_bicamerali/compo/elrifiuti.htm)